Si è tenuta venerdì 9 aprile 2010 la presentazione del libro “Sul velo oscillante di luci” di Carmelo Caldone, poesie d’amore, edito per la collana “I Gigli” da Montedit.

L’iniziativa promossa con il patrocinio del Comune di Fagnano Olona e della Pro Loco ha visto la collaborazione del CRT – Centro Ricerche Teatrali.

L’autore è stato intervistato dal giornalista fagnanese Fausto Bossi.

Il poeta Carmelo Caldone, originario di Grottole e residente a a Fagnano Olona in provincia di Varese, esplode in una poetica dal grande sentimento che inonda il cuore: l’amore.

Prefazione del libro

È una vera evoluzione quella di Carmelo e della sua parola poetica. Ci sono temi che ritornano, perché radicati e irrinunciabili, e via via si ampliano negli orizzonti e si arricchiscono di sviluppi, scendendo sempre più in profondità. E ci sono tematiche che scaturiscono nuove dalla vita vissuta, dall’attualità, dalla realtà sociale sempre in divenire. Si affinano le tecniche di versificazione e le valenze espressive: la materia soggettiva si avvale dei procedimenti più moderni di analogie, metafore, sinestesie, illuminazioni, silenzi, potere evocativo di misteri dell’anima:

Quando il tramonto
È un volto piegato
Sul fiore del giorno,
scendono in ombre
le trecce materne
… L’aria è ancora piena di latte
e lo versa sulla mia bocca orfana.

(Da “Le trecce materne”)

L’icasticità della parola e la pregnanza del silenzio danno origine all’intrecciarsi di improvvise illuminazioni e prolungate pause di meditazione:

“M’appare
questo cadere d’anime bianche
e lontane.
Nevica sul mare… !”

(Da “Nevica sul mare”)

ricordo inconsapevole di letture amate o vere improvvise accensioni soggettive, alla maniera dei Simbolisti francesi? Correlativi oggettivi, alla maniera di Eliot e di Montale, forse inconsciamente intuiti a fissare in un oggetto il sentimento?:

“Qui, come un ragno, la miseria
ha tessuto la sua tela… !
Alle arcate di queste vecchie case
Pende lo stendardo di morte
O corredi infranti al vento.

Un cane a sera
Porterà fra denti la sua solitudine”

(“Il borgo dei poveri”)

E precisione di particolari che pittoricamente (impressionisticamente e pascolianamente) fissano e immortalano la realtà, ma facendola vibrare di qualcosa che sta oltre:

“Rimase la buia casetta
dallo scalino in pianto
con un raro fiore
germogliato tra le crepe,
che memore dei suoi passi
tendeva la corolla al sole.”

(Da “Il sogno della contadina”)

È questo “andare oltre” che conferisce ai versi la loro profondità e il loro incanto, in una dialettica costante tra nostalgia e sogno, memoria e attesa, costatazione della precarietà contingente e ricerca di assoluto, accettazione del limite e aspirazione all’illimite. Sulla nostalgia deve vincere la capacità di sognare:

“Il mio vento del Sud
emana profumi di ginestre e viole,
arpeggia malinconie
fra terrazze e sobborghi;
sono note di dispersi cuori
laddove divampa la memoria.
Su grondaie remote
Finisce il suo furore
Se riposa l’ala di un sogno”

(Da “Il mio vento del Sud)

Anche nel negativo occorre scovare quel che ci può essere di positivo:

“Sei la festa del mio dolore”

(Da “Alla bellezza”)

e tendere idealmente all’irraggiungibile:

“Quasi un preludio al tuo essere
in me vitale
e mai raggiungibile”

(Da “La neve nei miei giardini”)

La realtà, pur contingente, possiede valori non perituri: maternità:

“Dalla loggia
frastornata di odori di basilico
e di memorie antiche
mi chiamavi a te,
come chi voleva
un altro respiro
per i sospiri destinati, ahimè, a finire”

(Da “Mai oscura in volto”);

paternità:

“Fiore della mia memoria sei tu, padre,
cui ancor rimbomba il forte cuore
là… fra i declivi
dove echeggiano i tuoni”

(Da “I fiori della mia memoria”);

amicizia (“Lettera ad un amico”); la casa (“Accarezza la pietra di casa tua”); la terra (“A Matera”, “D’autunno al mio paese”); i bambini che sconfiggono la morte con lo spettacolo sempre rinascente della vita (“I bambini e la sera”); il lavoro, che rende ogni persona grande, partecipe con la sua opera della grande opera del mondo, (“Lo spazzino del paese”). E naturalmente l’amore:

“Gemeranno le nostre anime
sull’altura del tempo
e i bastioni dell’eternità
saranno urtati dai nostri sospiri.

Ora qui… in questo apparir passeggero
Con ansia mi chiederai
Di levarti un bacio dalla bocca
Come fosse spina che duole.

Dolce duolo… amor mio
Di qualcosa d’estremo rapido dono.”

(“Il bacio d’amore”)

Natura, piante, fiori, farfalle, terra, paese, rocce, cieli, mari… popolano le poesie di Carmelo: quasi una biblica visione cosmica, purtroppo rattristata da drammi realisticamente contemplati (“I figli della miseria”, “Il vicolo perduto”, “Perdizione”). Il poeta vede il male nel mondo, ma non vi si rassegna: all’odio e alla violenza occorre contrapporre il bene, l’amore-agape, capace di costruire; il rimpianto vero è per ciò che non si è donato:

“Non dispero per gli anni passati
né per felicità sottratte.

Dispero
Per gli attimi senza carezza alcuna,
dispero per le parole
più gelide di una nottata d’inverno… “

(Da “Ho visto cieli…”)

Così i valori morali redimono le contraddizioni dell’uomo, sostanziando la bellezza dell’essere con “questo enorme respiro d’amore” (in “Nevica sul mare”); “non d’assoluta fine” è la morte del padre (in “Il richiamo del padre”) e l’esistenza non può ridursi ad una serie di negatività: non si può rassegnarsi a non cercare una risposta:

“Gli uomini uccidono… !
Gli uomini oscurano
Il sorriso dell’innocenza.

Dimmelo solo tu, compagna mia,
dove volgerò il mio canto,
ora che si fa enorme la sera
e si fa carico di tutti i sospiri.

Dimmelo ora, che il cielo
S’insanguina nei miei occhi… !”

(Da “Alla compagna”).

Perché, infine, non si può sfuggire alla vera domanda che rende l’uomo uomo;: chi sono io?:

“M’appare
questo cadere d’anime bianche
e lontane.

Nevica sul mare… !

Sono quelle anime che mi amarono

mi gridano ancora: – Dove sei?
Che fai… Chi ami? – …
Nevica sul mare, amore mio,
dove sei?
… Dove sono?”

(Da “Nevica sul mare”)

Sappiamo che la risposta di Carmelo alla domanda esistenziale è una risposta positiva, di valorizzazione del reale, della persona, del mistero cosmico; di riconoscimento della grandezza della vita, destinata all’immortalità, e del suo Autore. Ma nei componimenti di questo volumetto tale risposta non è resa esplicita. L’autore preferisce immedesimarsi con chi è ancora in ricerca, e magari ancora non ha trovato, ed è tentato di cedere ad una visione negativa ma nello stesso tempo intuisce che invece una profonda ragione positiva regge il tutto.Si immedesima col “velo oscillante di luci”, con la sofferenza di chi si sente ancora separato da un velo e nello stesso tempo sperimenta la gioia trepidante di cominciare ad intravedere la luce: sentimenti profondi, ma accennati con pudore, confidati al lettore con la delicatezza di chi ha provato, sa capire e sostenere.
Ottimo compagno di strada Carmelo, discreto, ma mai banale nel suo impegno di esplorazione del reale e di comunicazione di valori poetici, cioè fascinosi, cioè fascinosamente profondi, cioè profondamente umani.

prof. Luigi Mascheroni

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